#097 - Forza Napoli
Ciclostyle 97
Forza Napoli

Quando, il 10 maggio 1987, il Napoli vinse il suo primo scudetto, io ero da due mesi nella pancia di mia mamma (no, non è una puntata sulla festa della mamma, ma in effetti ci potrebbe stare). Era lo scudetto della leggenda, quello di Maradona: basta cercare su YouTube qualche filmato dell’epoca per rendersi conto di cosa sia stata quella vittoria per la città. In quel momento hanno iniziato a comparire i santini del calciatore, gli altari, le magliette, i murales. L’eroe stava diventando divinità. In quei giorni di grande festeggiamento, mia mamma era a Napoli. Non aveva ancora detto quasi a nessuno che c’ero anche io: una gravidanza con un certo tasso di rischio durante uno degli eventi più caotici mai visti al Sud Italia? C’era di che essere preoccupaty.
Forse è per questo aneddoto che mi sono ritrovato - mediocre e saltuario spettatore di calcio - a tifare Napoli. Forse, più in generale, perché una parte significativa della mia cultura familiare ha a che fare con Napoli (mio padre lì è nato, mia nonna ci ha vissuto tutta la vita, i miei genitori ci hanno trascorso la giovinezza). O forse, e questo trascende da questioni di appartenenza e campanilismo, perché l’esperienza del tifo calcistico napoletano ha qualcosa di speciale.

Ce ne stiamo accorgendo in questi giorni, con i festeggiamenti per il terzo scudetto, conquistato a 33 anni dal precedente (che già solo per motivi cabalistici, con questi numeri, ha qualcosa di speciale). “Ma con tutti i problemi che hanno, davvero perdono tempo così?! Davvero si preoccupano di questa cazzata nonostante la disoccupazione, la camorra, la povertà, le violenze…”. Dite la verità: l’avete pensato almeno una volta.
Lo ha pensato, anni fa, anche una delle più grandi icone della napoletanità contemporanea, Nino D’Angelo, che nel suo film “Quel ragazzo della curva B” canta: “Forza Napoli / Rint'all'uocchi'e ste guaglione / Ca se scordano 'e problemi / E si mettono a canta'” (“Forza Napoli, dentro agli occhi di questi ragazzi che si scordano i problemi e si mettono a cantare”). Qui, però, il senso è invertito: meno male che esiste il calcio, che assorbe le attenzioni e le energie dey ragazzy, che altrimenti vivrebbero male la loro esistenza di miseria e potrebbero addirittura finire in brutti giri.
Il film parla proprio di questo. Nino, un giovane meccanico, fonda insieme a un gruppo di amici un circolo di tifosi del Napoli. Sono persone semplici e di cuore, ma la loro passione è tale che presto diventano i trascinatori della curva B della squadra (per y non calciofily, quella dove, al San Paolo di Napoli, prendono posto i supporter della squadra di casa). La camorra però (ritratta nel perfetto stereotipo dei film dell’epoca) non è contenta, perché Nino si oppone fermamente alla presenza di droga, violenza e illegalità fra i tifosi: per questo viene accoltellato, ma si salva e si riprende giusto in tempo per godersi la vittoria del campionato da parte della sua squadra.

Quindi sì, il calcio “distrae” i napoletani, ma è al tempo stesso un grande catalizzatore di energie, di passione, di significati profondi. Un esempio. Qualcuno ha notato, fra gli spalti di una delle ultime partite, lo striscione “Campioni in Italia” (al posto del più classico “Campioni d’Italia”): qui dentro ci sono decenni di rivendicazioni identitarie e di rapporti turbolenti con un’Unità nazionale mai del tutto assimilata.
James Scott ha scritto diversi libri incentrati tutti sulle dinamiche di potere, fra inclusione ed esclusione di gruppi più o meno subalterni. In particolare in The art of not being governed spiega come tutta una serie di popolazioni del sud est asiatico si siano appropriate delle narrazioni statali ufficiali che le volevano “barbare” e indomabili, con la chiara finalità e volontà di non farsi sottomettere dai poteri centrali.
Nonostante ci siano una serie di questioni che non tornano nel libro di Scott, la sua tesi rimane sicuramente affascinante. Azzardato applicarla al Mezzogiorno in Italia e, in particolare, a Napoli - ma la vittoria di questo scudetto ha dato prova per l’ennesima volta del fatto che Napoli è Napoli e le regole della capitale partenopea sono diverse dal resto d’Italia - e, spesso, anche dal resto del sud Italia. Ed è in questo senso che forse Scott può aiutarci a leggere Napoli e la sua ultima vittoria.

Poche immagini riuscirebbero quanto questa a sintetizzare
ciò che abbiamo scritto nel paragrafo precedente.
Un altro aspetto significativo del tifo napoletano è il culto di Maradona, che fra luci e ombre ha accolto su di sé l’eredità di San Gennaro, una presenza oltre-umana che regala ay napoletany la percezione di un Dio che non li ha dimenticati, ma che continua a essere lì - solo che ogni tanto ha da fare.
Senza dimenticare la valenza politica di Diego, icona del riscatto degli ultimi. Di padre guaranì e madre di famiglia emigrata europea, era il perfetto simbolo di quel meticciato sudamericano che urlava “giustizia” contro ogni imperialismo. Dalle polverose strade delle baraccopoli di Villa Fiorita, Maradona era riuscito ad arrivare ai vertici del mondo; aveva vendicato le Malvinas durante i quarti di finale di Messico 86, contro l’Inghilterra; si era opposto a più riprese contro i “poteri forti” del calcio, soprattutto contro la FIFA; aveva appoggiato Castro, di cui si fregiava di essere amico (in onore della rivoluzione cubana si era fatto fare due tatuaggi, uno di Fidel e uno di Che Guevara); aveva sempre riservato parole di fuoco alle politiche imperialiste degli USA, almeno fino all’elezione di Obama, di cui si dichiarò ammiratore.
Tutta una narrazione? Certo. Le zone d’ombra di questa storia sono numerosissime e forse non c’è nemmeno bisogno qui di riassumerle: ci basti segnalare che questa sorta di agiografia laica di Maradona fu letta - ed è ancora letta - dai napoletani come una sorta di rispecchiamento su scala globale di ciò che rappresenta la città partenopea. Maradona aveva vendicato anche Napoli, vituperata dal Nord (calcistico, ma non solo) e “ultima” fra le città.

Napoli festeggia, nell’87 come nel ‘23, ma non festeggia solo per sè stessa. Festeggia uno scudetto che è simbolo di rivalsa, allora come oggi, di tutta Napoli e di tutty y napoletany, di ieri, oggi e domani. La vittoria è di tutty, più si distribuisce, più si moltiplica allargandosi non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Fra le cose che più ci ha commossy dei festeggiamenti, è stato vedere quanty napoletany dicessero di festeggiare per tutte le persone venute a mancare negli ultimi 33 anni, “che non hanno potuto vedere il Napoli vincere”.
Fuori dal cimitero di Capri era apparso uno striscione (“Napoli Campione d’Italia 2022/23” con tanto di fuochi d’artificio ad accompagnare la scritta), prontamente rimosso dalla giunta comunale. Il potere ufficiale ha ritenuto questo gesto una mancanza di rispetto nei confronti del cimitero; “i barbari” invece volevano “rendere partecipi i nostri defunti di una gioia che non hanno avuto la fortuna di vivere”. Che chiagnerone questi barbari… 😭

E voi che idea vi siete fatty di questo strano modo di festeggiare il calcio, di tributare onori a Maradona, di alzare lo scudetto anche per i morti? E più in generale, che ruolo attribuite allo sport all’interno della vostra cultura? Fatecelo sapere nel nostro gruppo Telegram, vi aspettiamo!
A domenica prossima,
Enrico & Carol
✨ Recupera qui i numeri passati di Ciclostyle! ✨

Copyright (C) *|CURRENT_YEAR|* *|LIST:COMPANY|*. Tutti i diritti riservati.
Vuoi cambiare le modalità di ricezione di Ciclostyle?
Puoi modificare le tue preferenze o disiscriverti 💔