#056 Swipe Left
Ciclostyle 56
Swipe Left

Non ho mai usato una app di incontri, ma avrei sempre voluto farlo. Non l’ho mai usata perché le contingenza storiche mi hanno portato - nel periodo d’oro di Tinder & co. - a passare da una storia abbastanza lunga alla mia attuale, con solo un annetto di interregno. E in questo annetto ho investito un bel po’ in alcune piccole relazioni, abbastanza da non volermi buttare contemporaneamente nel mare magnum degli incontri on-line. Insomma, se non ho mai usato Tinder è perché mi sono ritrovato a non averne bisogno nel momento della sua massima espansione. Ma accidenti se mi ha sempre affascinato. C’è stato un periodo in cui ho costretto tutty y miey amicy single a scaricarlo, e passavamo ore a giocarci: anzi, vi dirò la verità, col profilo altrui è anche più divertente!

Da dove questa incredibile attrazione? Nel Nuovo mondo estetico parlo a lungo di questa faccenda: sicuramente una parte del fascino che provo per queste app deriva dalla grande utopia dell’”ingegneria relazionale”; l’idea cioè che stiamo provando a creare algoritmi e meccanismi in grado di facilitare (o comunque catalizzare) la socialità umana. Perché accontentarci di ciò che avviene in piazza? Perché ricorriamo ai social per qualsiasi cosa (dall’imparare la scienza a trovare lavoro, dallo scoprire ricette a condividere passioni e fedi), ma guardiamo con occhio sospettoso il sesso, l’amicizia, l’amore?

Come spesso accade, il mondo della fiction ci aiuta a capire come abbiamo cambiato prospettiva sul tema nel corso degli anni. Nel film Fantozzi alla riscossa del 1990, il ragionier Ugo viene lasciato dalla moglie Pina; dopo una serie di tragici tentativi esistenziali, decide di affidarsi a un’agenzia matrimoniale, che si avvale della collaborazione di un “cervellone elettronico”. E colpo di scena: l’intelligenza artificiale lo accoppia con l’unico essere umano fatto per lui, ossia di nuovo Pina. Cosa può fare il cervellone? Niente più che confermare, con dati e calcoli, ciò che già sappiamo.

Ma la tecnologia cambia in fretta, e così pure la società (e le influenze possono essere lette in ambo le direzioni, vero Lametascienza?): così in The lobster (2015) l’accoppiamento diventa forzato, coatto, distopico. Nel futuro ritratto dal film, la vita di coppia è l’unica possibile e i single sono portati in strutture dove, in un clima fra vacanza, ospedale e carcere, sono obbligati a trovare l’anima gemella. E Tinder, se ci pensate bene, agisce proprio mescolando le possibilità del cervellone di Fantozzi con le necessità sociali di The lobster.

Qualcosa però sfugge al discorso: ho detto che è tutto incredibilmente divertente, e fra la mediocrità piccolo-borghese di Ugo e Pina e l’angoscia distopica di The lobster siamo su lidi piuttosto diversi. Manca un ingrediente che ancora non abbiamo preso in considerazione. Che è la performance - ormai l’avete capito, il leitmotiv di queste puntate estive. Queste app permettono un’esperienza, agiscono su una dimensione ludica: non accoppiano, ma favoriscono l’accoppiamento, non abbinano, ma forniscono lo scenario per abbinarsi. Il modello è quello dello speed date (ricordate lo splendido incipit di L’amore è eterno finché dura di Carlo Verdone, 2004?), ma estremamente compresso. Se nello speed date incontriamo uno dopo l’altro decine di possibili partner e abbiamo pochi minuti per farci un’idea, Tinder e co. forniscono una piccola finestra, poche foto e ancor meno righe per proporre la propria performance, esposta non a poche, casuali persone, ma a una platea potenzialmente infinita (ma “saggiamente” contenuta e manipolata dall’algoritmo).

Un po’ come in Hang the DJ, episodio della quarta stagione della serie Black mirror: in un futuro prossimo, tutte le relazioni d’amore del mondo sono gestite da “Coach”, un computer accoppia le persone e definisce per quanto tempo debbano stare insieme. “Coach” non segue una formulina matematica con costanti e variabili, ma una fluida combinazione di dati che modifica di volta in volta le proprie regole a seconda dell’esperienza acquisita. In poche parole, funziona come l’apprendimento umano, in modo olistico: conosce alcuni elementi del mondo e tramite questi può esplorare più a fondo l’esistente, in un circolo che potenzialmente non ha limiti. Le esperienze che “Coach” propone/impone alle persone, servono per trovare partner migliori, che a loro volta contribuiranno a rendere ancora più efficaci gli accoppiamenti, fino a una presunta perfezione. Ciò che stupisce di Hang the DJ, però, è il finale: Frank e Amy, i due protagonisti che lungo tutta la storia si perdono e si ritrovano – fino a tentare di scappare per poter stare insieme oltre le regole del sistema – non sono altro che simulazioni all’interno di un software che, nel mondo reale, utilizzano le persone per combinare appuntamenti al buio. Quindi la loro storia d’amore non è altro che la rappresentazione di ciò che - secondo gli autori dell’episodio - avviene dentro Tinder quando deve decidere chi proporti durante lo scroll. Una performance al servizio della tua performance, che prepara alla “vera” e concreta performance.

Esiste un giochino, piuttosto divertente, che si chiama MonsterMatch (https://monstermatch.hiddenswitch.com), che ha lo scopo di smascherare i bias impliciti degli algoritmi delle dating app, soprattutto di Tinder. Per iniziare, è necessario creare il proprio profilo mostruoso, poi il gioco ci sottoporrà profili di altri mostri. Se scarteremo mostri con un solo occhio, il gioco non ci mostrerà più ciclopi - supponendo che sia quella caratteristica a renderci il mostro meno interessante. Se invece sceglieremo un drago, allora il gioco ci mostrerà molti più draghi fra i profili potenzialmente interessanti.
Immaginatevi la stessa cosa ma con capelli corti/lunghi; chiari/scuri; pelle bianca/nera ecc. Un po’ triste, vero? Personalmente, ho notato che Tinder (e forse anche altre app, ma dovrei farci più attenzione), dà parecchia importanza ai miei titoli di studio e quindi mi sottopone moltissimi profili di persone con una laurea magistrale o un dottorato. Per una strana ironia della sorte (oltre che per evidenti limiti dell’algoritmo), sono quasi tutty fisicy o ingegnery - che peraltro spesso non nascondono di essere appassionaty di BDSM in ruoli D (dominazione/disciplina). Probabilmente eviterei conclusioni affrettatamente lombrosiane, se solo la app mi mostrasse anche qualche umanista finit* fra le casse del Mcdonald e simili… chissà.

Dopo questa neanche troppo breve introduzione alle dating app, ci teniamo a sapere cosa pensate voi di queste applicazioni: le usate? Le giudicate? Non le scarichereste mai in vita vostra? Perché? E se le avete usate, vi va di raccontarci un po’ di esperienze, positive e negative, che avete avuto utilizzandole?
Naturalmente, come sempre, vi aspettiamo nel nostro gruppo Telegram (che sarebbe bellissimo se diventasse un piccolo covo di speed-daters caroloids & paladins).
A domenica prossima,
Enrico & Carol

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