#200 - Non siamo asociali ma selettivi: cronache dal primo antropocamp
Quattro giorni di risate, vulnerabilità e la scoperta che le connessioni autentiche nascono quando trovi un nido pronto ad accoglierti
Sono finalmente tornata a casa dopo il primo antropocamp ma ancora fatico a trovare le parole giuste per descrivere l’esperienza. È stato talmente immersivo e al di là di ogni più rosea aspettativa, che ho difficoltà a creare un discorso organico per dirvi com’è stato.
Ho deciso quindi di parlarvi degli aspetti che mi hanno più colpita e che sono rimasti più impressi, come organizzatrice. Immagino infatti che il punto di vista di chi ha partecipato possa essere diverso. Ma ci provo, perché quello che è emerso in questi quattro giorni credo sia un messaggio importante per tutti noi che spesso ci sentiamo "diversy" o "inadatty" ai ritmi e alle dinamiche sociali mainstream. Mi sto sempre più rendendo conto, infatti, che chi mi segue solitamente si sente “diverso”: o perché ha un percorso lavorativo/di studi/di vita non lineare; perché non si ritrova nelle narrazioni mainstream; perché crede che altri mondi siano possibili.
“Siamo tutte asociali”
Una delle cose che mi ha colpito di più è stato il momento in cui una delle partecipanti ha esclamato “comunque siamo tutte delle asociali”. Abbiamo riso di questa considerazione, riconoscendoci (nella frase e fra di noi, come antisociali).
Ho passato gran parte della mia prima età adulta a pensare di essere a-sociale o anti-sociale… in molte situazioni mi sforzavo di risultare piacevole nelle conversazioni, sentendomi costantemente incapace di socializzare “per davvero” e perdendo tutte le mie energie nel tentativo di risultare più appetibile all’interlocutore. Poi ho smesso. La conversazione mi annoia? Non faccio nulla per nasconderlo. E così, piano piano, la cerchia di amici si restringe, in pochi ti invitano fuori, ti convinci sempre di più che là fuori in pochi ti capiscano… e che tu sei asociale. Ma è davvero così?
Non siamo antisocialy, siamo selettivy
C'è una differenza enorme tra non voler stare con le persone e non riuscire a connettersi con persone che parlano di cose che non ci interessano, che vivono la socialità diversamente da noi, che trasformano ogni conversazione in un'opportunità di networking... e non di connessione.
Un’atmosfera non performativa
Durante il camp non abbiamo quasi mai parlato di lavoro. Il gruppo era formato da persone con percorsi non lineari, dove il lavoro non rappresenta l'identità primaria con cui definire tutta la propria persona. O persone che hanno trovato modi per esprimere attraverso il lavoro parti importanti di sé: la creatività, il senso civico, la cura, per cui il lavoro rappresenta una parte della propria vita, in cui hanno incanalato una parte di sé, ma loro sono molto di più - e con o senza quel lavoro sarebbero ciò che sono lo stesso.
Nessuna pressione a dover essere qualcuno di specifico. Nessuna maschera da indossare.
E sapete cosa è successo? Abbiamo riso per quattro giorni. Ci siamo connesse nel giro di poche ore in modo autentico e profondo. Le "antisociali" sono diventate un gruppo affiatato che condivideva cibo, emozioni, riflessioni intime e momenti di pura gioia.
Le risate
Con il mio terapeuta avevo fatto diversi esercizi di visualizzazione per comprendere quali fossero le mie paure, le mie aspettative, quali volevo che fossero gli obiettivi del camp. Avevo paura di non essere in grado di arginare potenziali sfoghi emotivi o personalità “troppo” esuberanti. Avevo immaginato che le partecipanti non avrebbero compreso il senso di alcuni laboratori, che non avrebbero apprezzato l’idea di cucinare o lavare i piatti insieme. Avevo immaginato molte cose che non si sono minimamente verificate. Ciò che non avevo invece programmato o immaginato era di divertirmi e ridere insieme ad altre 8 sconosciute per 4 giorni. Abbiamo riso tutte di gusto durante tutto il camp e spesso la risata è stata curativa - per fare gruppo, per rinsaldare valori e perfino per smorzare momenti troppo cupi che rischiavano di auto-sabotare lo spirito del singolo e del gruppo.
Il potere del cibo condiviso
Uno degli aspetti più belli è stato come si è creata spontaneamente una dinamica di cura reciproca attraverso il cibo. Alcune cucinavano, altre preparavano, tutte mangiavamo quello che altre avevano preparato. A turno, ci si prendeva cura una dell’altra attraverso il cibo, che quindi è diventato un linguaggio di connessione e cura.
Lezioni profonde dai laboratori
I laboratori che avevo preparato sono stati accolti con una disponibilità che mi ha sorpresa. Le partecipanti si sono messe d’impegno, era evidente che reputassero gli esercizi non solo validi ma anche utili per loro, per ragionare individualmente e poi in gruppo sulle loro modalità relazionali e sulle loro reti sociali.
Questo è possibile solo quando si crea uno spazio sicuro e, per quanto io abbia avuto un ruolo importante in questo, è altrettanto importante che anche le partecipanti si rendano responsabili in tal senso. Ci siamo tutte sentite libere di essere (anche vulnerabili). Quando la pressione della performance sparisce, emerge la curiosità autentica verso se stessi e gli altri.
E sono altrettanto sicura che le riflessioni non si sono limitate al camp, ma le partecipanti le hanno anche riportate a casa.
Un messaggio per voi
Se ti riconosci in quello che sto raccontando, se anche tu ti sei mai sentitə "antisociale" o "inadattə" alle dinamiche sociali standard, voglio dirti questo: non c'è niente di sbagliato in te.
Il punto non è riuscire a mettersi in connessione con chiunque. Il punto è:
Riconoscere che hai bisogno di spazi autentici
Accettare che hai bisogno di solitudine per ricaricarti
Smettere di forzarti in conversazioni che non ti nutrono
È nato un nido
L'antropocamp ha superato ogni mia aspettativa. Non perché tutto è andato secondo i piani, ma perché ho scoperto che quando crei le condizioni giuste, le connessioni spontanee accadono davvero.
E soprattutto ho capito che quello che spesso chiamiamo "antisocialità" è in realtà intelligenza relazionale: la capacità di distinguere tra connessioni autentiche e relazioni di superficie, tra spazi nutritivi e contesti tossici.
E ora?
Parte di ciò che abbiamo sperimentato diventerà contenuto on-line, anche per voi fra instagram e Patreon. Voglio che anche chi non c'era possa beneficiare di questi insight, di questi strumenti, di questa consapevolezza.
Perché se una cosa ho imparato in questi quattro giorni è che le persone come noi non sono rare. Semplicemente, di solito si nascondono.
E quando finalmente si incontrano, accade un po’ di magia.
E il prossimo antropocamp, quando lo facciamo succedere?
Scrivimi nei commenti quando e dove ti piacerebbe partecipare al prossimo camp: quali sono i periodi dell’anno in cui sei solitamente più disponibile? Da dove vieni e quanto sei dispost* a spostarti per questo tipo di esperienza? Vi aspetto nei commenti!